Tecnologia a scuola, prima santa e oggi diavolo
Durante la pandemia, la tecnologia è stata una salvezza per le scuole. Ha permesso alle lezioni di continuare quando il mondo si fermava. E, inevitabilmente, ci siamo trovati a beatificarla, erigendola a soluzione per tutti i problemi educativi (e non). Tuttavia, come per ogni divinità, arriva il momento della disillusione. Il rischio, anzi, è quello che si torni a demonizzarla trasformandola da risorsa utile a fastidioso contrattempo. Nel dicembre 2022, appena riposte le mascherine, il ministero dell’Istruzione aveva diffuso una circolare nella quale si vietava l’uso dei cellulari in classe, ritenuti “un elemento di distrazione propria e altrui e una mancanza di rispetto verso i docenti”. A luglio 2024, il ministro dell’istruzione Valditara rinnova la circolare, ricordando che un recente rapporto dell’Ocse “ha evidenziato come gli smartphone siano fonte di distrazione per gli studenti che lo usano con maggior frequenza a scuola, facendo diminuire il livello di attenzione”.
Disorientamento
Cerchiamo di entrare nella testa dei nostri giovani: per più di due mesi sono stati costretti a seguire le lezioni da cellulari e tablet, gli stessi dispositivi che usano per lo svago. Poi, gli è stato concesso di portarli a scuola perché ci si è accorti che molti collegamenti (e verifiche in classe) erano più efficaci con l’ausilio della tecnologia. Oggi, invece, gli si dice di chiuderli in un cassetto. Il disorientamento di fronte a questo cambio di passo è la reazione più normale che possono avere. L’inversione di tendenza tramite la quale si cerca oggi di richiudere il vaso di Pandora non è un’esclusiva del nostro Paese. Negli Stati Uniti, questo dibattito sta prendendo piede a colpi di divieti sui cellulari e limitazioni all’uso di tablet e Chromebook nelle classiâ. Città come Los Angeles e Las Vegas stanno adottando misure per arginare il diluvio tecnologico, ma il problema non si risolve con la sola messa al bando degli smartphone. Gli stessi insegnanti, infatti, sottolineano che rinunciare a tablet e laptop significherebbe penalizzare gli studenti in un mondo sempre più digitale. E qui emerge la domanda: siamo sicuri di poter davvero tornare indietro?
Questione sociale
La questione non è solo tecnologica, ma anche sociale. Molti genitori sostengono il ritorno a carta e penna, ma allo stesso tempo si oppongono ai divieti totali sui telefoni. Come Liz Shulman, insegnante di inglese in Illinois (Usa), che evidenzia: “I genitori vogliono che i figli imparino senza distrazioni, ma vogliono anche poterli contattare in ogni momento”. Un vero dilemma: si chiede alla scuola di fare da baby-sitter tecnologica, senza disturbare il delicato equilibrio tra sicurezza e controllo. Alcuni distretti scolastici hanno adottato soluzioni intermedie, come speciali custodie (prodotte dalla statunitense Yondr) che bloccano l’accesso ai cellulari durante le lezioni, permettendo però di tenerli con sé. E i risultati sono sorprendenti: meno squilli in classe, meno distrazioni, meno problemi disciplinari.
Salute mentale
Mentre l’equilibrio tra uso e abuso tecnologico si dibatte nelle scuole, un altro fenomeno si impone con forza: l’impatto dei social media sulla salute mentale degli adolescenti. Il lavoro dello psicologo Jonathan Haidt su questo tema è diventato un riferimento obbligato per capire quanto gli smartphone stiano effettivamente modellando (e deformando) le vite dei nostri ragazzi. Haidt sostiene che il legame tra social media e ansia è chiaro: il costante bombardamento di immagini perfette e vite patinate genera un’inquietudine profonda, specialmente nelle ragazzeâ. I dati sono allarmanti: secondo un rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention, il 57 per cento delle studentesse delle scuole superiori ha segnalato sentimenti persistenti di tristezza o disperazione nel 2021, rispetto al 36 per cento di un decennio fa. Questi numeri mettono in luce l'impatto psicologico che la presenza continua sui social media può avere sui giovani. Ma c’è chi critica questa visione. Candice Odgers, professoressa di psicologia e sviluppo del comportamento, afferma che i problemi di salute mentale tra i giovani derivano da una combinazione di fattori genetici e ambientali, e non solo dalla tecnologiaâ. Allora, qual è la soluzione? Demonizzare completamente gli smartphone, vietandoli nelle scuole e nelle case, potrebbe essere eccessivo e controproducente. Invece di vietare, potremmo pensare a come affiancare i ragazzi in un uso più consapevole. In fondo, non è lo smartphone in sé a creare il problema, ma come viene utilizzato.
Educazione digitale
Qui entra in gioco l'educazione digitale. Nella veste di genitori, insegnanti e adulti, abbiamo l'opportunità di mostrare ai giovani come usare la tecnologia in modo responsabile, senza esserne schiavi. Ad esempio, stabilire regole chiare sull'uso del telefono, come non tenerlo in camera da letto durante la notte o limitarne l’accesso durante lo studio, può aiutare a ridurre l'ansia. Inoltre, l’uso condiviso delle piattaforme digitali può trasformarsi in un’opportunità di dialogo: invece di lasciare i ragazzi da soli con lo schermo, si potrebbe esplorare insieme il mondo digitale, educandoli a distinguere tra realtà e finzione, tra contenuti costruttivi e distruttivi. Si tratta di accompagnarli e fornire loro gli strumenti per navigare nel mondo digitale con maggiore consapevolezza, evitando il fenomeno della fear of missing out (FOMO) che alimenta l’ansia. Se la pandemia ci ha mostrato il potere della tecnologia nell’istruzione, è giunto il momento di riflettere su come utilizzarla in modo sostenibile. Non si tratta di tornare indietro, ma di fare un passo avanti con consapevolezza. La sfida è educare una generazione non solo tecnologicamente abile, ma anche capace di mettere da parte lo schermo quando serve, recuperando la concentrazione, la creatività e l’interazione umana. Perché, in fondo, il vero progresso è fatto di equilibrio.
Condividi questa pagina :