Forni, conosciamoli meglio

In cucina ci penso io
[ 29/08/2021 ]  

In cucina il forno è un apparecchio misterioso. A volte sembra dotato di una volontà propria, in grado di determinare esiti mortificanti per il nostro ego culinario, specialmente in pasticceria. A onor del forno, lo dobbiamo dire: se la torta a fine cottura sembra un sottopentola in sughero invece che un invitante soffice dolce, nella maggioranza dei casi non è colpa del forno. Al solito, sottovalutiamo la necessità di conoscere bene questo strumento di cottura. A maggior ragione se, come capita oggi, il mercato offre una quantità di modelli diversi per tecnologia, performance, consumi. Con l’aiuto degli esperti di questa categoria di elettrodomestici, scopriamo ‘l’universo forno’. Non mancheranno sorprese.

Comprare un forno, ma quale? 


Escludendo i forni a legna, che non abitano le nostre cucine da molto tempo, e i semplici forni a gas, che rappresentano sempre più una minoranza, ci concentriamo sui forni elettrici e le loro differenti tecnologie: statici, a convezione, termoventilati. Dulcis in fundo, i forni a vapore. I forni statici, in genere i più economici, sono dotati di due resistenze, una superiore e una inferiore, attraverso le quali modulari separatamente o insieme la cottura. Il forno statico è mediamente il più energivoro del mercato, perché le due resistenze sono l’unica fonte di calore per scaldare con “molta fatica” la cavità; ciò comporta maggior assorbimento di energia e tempi di cottura più lunghi.

I forni a convezione, impropriamente detti ventilati, oltre alle due resistenze in cavità, una sul ‘soffitto’ e una inferiore non a vista, dispongono di una ventola che mescola l’aria e rende più uniforme la temperatura in minor tempo, accorciando anche i tempi di cottura rispetto al forno statico tradizionale e riducendo i consumi di poco; un minimo passo, non particolarmente rilevante, verso l’efficienza. La potenza della resistenza di fondo - che alcuni dei nostri esperti chiamano “di grigliatura inferiore” - è quasi metà di quella superiore, circa 800 watt; perché sia efficace in cottura, la teglia deve essere posizionata quasi a contatto del livello più basso del forno. C’è un motivo perché i produttori non hanno previsto una resistenza più potente: in Italia l’assorbimento energetico del solo forno non può superare il limite dei 3 kwatt, il massimo previsto nei contratti standard di fornitura domestica. Usando il forno si bloccherebbe elettricamente tutta la casa. In altri paesi, come Francia e Svizzera, dove questo limite contrattuale non c’è, il mercato offre apparecchi con potenze superiori.

I forni termoventilati si differenziano da quelli a convezione perché hanno una terza resistenza, circolare o ad anello, posizionata attorno alla ventola. La differenza è però nella tecnologia: l’aria non viene mescolata, ma aspirata e direzionata forzatamente sulla resistenza circolare piuttosto potente (in genere circa 1600 watt): essa scalda l’aria che poi viene immessa nuovamente nella cavità attraverso quattro bocchette che creano flussi d’aria in un movimento circolare, dall’alto verso il basso e viceversa, verso la porta e sui corridoi laterali, e poi aspirati al centro. Mediamente la resistenza circolare gestisce tutte le cotture ‘termoventilate’ raggiungendo 200 gradi circa, diffusi in modo uniforme. Se la ricetta richiede una temperatura superiore, per esempio 230 gradi, il forno - raggiunto il limite prodotto dall’elemento circolare - attiva una o entrambe le resistenze presenti per arrivare alla temperatura richiesta. In genere i modelli termoventilati sono multifunzione, possono cioè lavorare in modalità statica, a convezione e anche a vapore, raggiungono una temperatura massima fra i 200 e i 230 gradi. Alcuni modelli, solo statici, possono raggiungere 275 gradi. Esistono poi alcuni forni ‘specializzati’ per la pizza, che arrivano anche a 330 gradi. Ma nella cucina di casa serve davvero tutto questo calore?

Tutta colpa della pizza


In realtà, secondo i nostri esperti, questa abbondante scala di gradi centigradi soddisfa le aspettative del consumatore, che desidera un forno in grado di arrivare a tanto calore. In qualche modo, questa convinzione ha a che fare con la pizza: l’utente è portato a pensare che, se il forno del pizzaiolo raggiunge i 400 gradi, il forno di casa, per cuocere l’italico piatto, deve raggiungere almeno i 300 gradi, altrimenti non va bene. E l’opinione è piuttosto diffusa, visto che la pizza è il primo alimento cotto nel forno domestico. Ma si tratta di un falso mito, perché a casa, per la cottura ideale della pizza, e in generale per cucinare con il forno, servono al massimo 230 gradi. Sono altri gli elementi utili a un buon risultato, ad esempio l’umidità. Prendiamo la pizza: se si vuole usare il forno ad alte temperature, come nelle pizzerie, questo deve essere aperto, per consentire di muovere l’alimento in cottura più volte e facilmente, cosa che con il forno domestico non si può fare. Ogni apertura compromette il grado di temperatura e interrompe la cottura. Per cucinare a casa una buona pizza basta preriscaldare il forno a 200-230 gradi, si apre una prima volta per inserire la pizza condita solo con il pomodoro, si riapre a due terzi del tempo previsto per aggiungere i condimenti freschi, e si termina la cottura. Questo vale per la classica pizza bassa, che così risulta croccante, mentre gli ingredienti freschi non cuociono eccessivamente.

Autoalimentazione del vapore


I pizzaioli lo sanno: per la pizza, specialmente quella napoletana con i bordi alti e fondo sottile, la sola temperatura non basta. Per cuocere il ‘cornicione’ serve un po’ di umidità, che fa penetrare il calore in profondità. Non a caso, nel tradizionale forno a legna del pizzaiolo la cavità è fatta a cupola, alta 28 centimetri al suo culmine, una distanza utile a innescare il processo di autoalimentazione dell’umidità che, evaporando dagli alimenti freschi e rimbalzando letteralmente sulla cupola, cade sulla pizza, coadiuvando la cottura. I forni professionali elettrici hanno un’altezza ridotta, circa 15 centimetri, necessaria a innescare lo stesso processo di autoalimentazione dell’umidità in una cavità che però arriva a 300-330 gradi, contro i 400 del forno a legna. Questo spiega perché, per una bella e buona pizza napoletana fatta in casa, più che l’alta temperatura serve un vero forno a vapore, con la caldaia.

Forni a umidità arricchita: parenti stretti, ma non chiamiamoli a vapore


Dopo la digressione sulla pizza, doverosa, visto che ne consumiamo mediamente otto milioni di unità al giorno, affrontando la categoria dei forni a umidità arricchita, chiariamo subito un concetto: un forno si può definire a vapore solo se è dotato di una caldaia che produce vapore, appunto. Niente sconcerto, dimentichiamoci la caldaia del ferro da stiro, qui si tratta di un componente di minimo ingombro, più o meno 10x15 cm, con uno spessore di circa 3, che trova buon alloggio nel retro dell’apparecchio. I forni a vapore sono multifunzione, in grado cioè di fare cotture statiche, a convezione, termoventilate che aggiungono al calore il vapore. In assenza dell’elemento caldaia, ci troviamo di fronte a un modello ibrido, o ad umidità arricchita: genera vapore per evaporazione all’interno della cavità, tramite una piccola resistenza celata sul fondo dell’alloggio dove si versa l’acqua, circa 200 - 250 cc. Quando si attiva la funzione vapore, la resistenza dedicata scalda l’acqua, generando un ambiente umido, che permane nella prima fase della cottura. Nelle rilevazioni GfK questi modelli sono catalogati proprio come forni a umidità arricchita, oppure associati alla categoria dei multifunzione, mai in quella dei forni a vapore. Sono comunque apparecchi performanti, che i nostri esperti definiscono “forno per pasticciere o panettiere, perché in queste arti culinarie l’umidità serve solo per la fase iniziale della cottura, e a temperatura non oltre i 40 gradi. Basta essere chiari: nel mercato c’è posto per tutti.

I forni a vapore


La grande e giovane famiglia dei forni a vapore comprende modelli in grado di erogare vapore universale (25%), o anche definito da qualche specialista ‘vapore basso’; modelli in grado di modulare la percentuale di vapore erogato in una scala che comprende, oltre al valore universale, il livello medio al 50%, alto fino al 75% e in qualche caso fino al 100%. In particolare, una cottura in forno si definisce al 100% vapore quando all’interno della cavità è attiva solo questa funzione, senza l’intervento di resistenze a supporto del processo. La tecnologia del forno a vapore, indipendentemente dai modelli, offre tre importanti vantaggi al consumatore, che si rivelano anche ecologicamente significativi: riduzione dei tempi di cottura, riduzione dei consumi energetici, riduzione del calo fisiologico degli alimenti in cottura. Questo grazie alla combinazione di calore insieme al vapore’: il calore cuoce all’esterno, il vapore penetra nell’alimento con una capacità fino a tre volte superiore al calore secco, determinando un’accelerazione nelle cotture, che preserva la qualità dell’alimento. Ad esempio, i modelli d’ingresso del segmento, quelli a vapore al 25%, riducono del 30% i tempi di cottura, fino al 25% il consumo energetico e fino al 50% il calo fisiologico delle materie prime che, normalmente, cedono in cottura dal 10 al 25% del loro peso. Sono forni performanti e utili per soddisfare la maggioranza delle esigenze culinarie di casa; oltre ai risparmi, il cibo risulta più saporito pur mantenendo abitudini e ricette del proprio cucinare. Con il vapore basso si può cucinare qualsiasi alimento, tranne uno: la meringa, che del resto non è proprio fondamentale nei regimi alimentari. Facendo due conti, la triade vantaggiosa del forno a vapore - meno tempo, meno energia, più peso del cibo - può portare a un risparmio annuo di circa 50 euro complessivi, calcolando il risparmio energetico e una minore spesa alimentare; ad esempio, per ottenere un arrosto da 750 grammi basterà comprare un taglio di carne da 800-850 grammi e non da un chilo, come sarebbe stato necessario per la cottura statica.

Rigenerare gli alimenti: migliore la qualità, minore lo spreco
Alcuni forni multifunzione a vapore medio e alto offrono programmi specializzati, come la rigenerazione degli alimenti. Il processo viene mutuato direttamente dalla ristorazione professionale: riscalda in maniera intelligente il cibo preparato in precedenza, che riacquista gusto e qualità simili alla versione appena cucinata. Il ciclo dura circa venti minuti: nei primi quindici il forno raggiunge lentamente i 100 gradi, normalmente impiega circa 8 minuti per arrivare a 180 gradi; a 50 gradi viene immesso in cavità vapore al 40-50% che idrata il cibo e trasmette calore in profondità, nell’ultima fase il riscaldamento sale a 110 gradi. A pensarci bene, oltre che comodo, il programma di rigenerazione ha una valenza sostenibile importante, è uno strumento in più nella cucina domestica contro lo spreco alimentare.

La cucina assistita 


Quando si può parlare di cucina assistita nei forni, e come funziona? Basta davvero selezionare la ricetta, premere start e bye bye fino a fine cottura? In questo ambito il forno, a vapore o meno, ha due possibilità, la cottura guidata e la termosonda. Con la cottura guidata, il forno propone sul display una selezione di varie categorie e sottocategorie alimentari, raccogliendo informazioni: per esempio, arrosto di manzo con cottura media. Per procedere pone una domanda fondamentale: deve cucinare a peso, in modalità manuale o, se il forno lo contempla, con il controllo automatico? Logicamente, la modalità che consente la maggior autonomia è quest’ultima, ma implica una termosonda integrata nell’apparecchio, che rileva le temperature dell’alimento in cottura, governando il processo fino a conclusione. In questo caso si parla di vera cottura assistita. La modalità a peso è un livello intermedio di cottura assistita, un controllo semiautomatico. Indicando peso e livello di cottura desiderato, il forno si regola basandosi su valori medi impostati per la tal ricetta con il tal peso, valutato per approssimazione, in genere di mezzo chilo in mezzo chilo. Nel caso della cottura manuale, l’assistenza si limita a proporre sul display indicazioni sulle migliori condizioni di cottura, come temperatura, durata e intensità di vapore per la tal ricetta, da gestire manualmente.

Multicottura

Davvero in un unico forno si possono cucinare contemporaneamente pietanze diverse? Sì, con qualche accorgimento. Bisogna conoscere bene gli alimenti da trattare. La multicottura contempla un’unica modalità di cottura, per temperatura e condizioni, dunque deve essere compatibile con tutti gli ingredienti considerati. Diversamente, si parla di cotture diverse, in cavità separate. In ogni caso, la multicottura non è davvero un bisogno molto espresso dai consumatori: il 95% delle cotture fatte in forno è mono-teglia, del restante 5%, il 4,5 cuoce due teglie contemporaneamente, solo lo 0,5 tratta la tripla teglia.

Nel segmento dei forni, tecnologie come quella a vapore sono in grado di guidare il consumatore verso una maggior consapevolezza e comportamenti sostenibili in cucina, a vantaggio dell’ecologia. Una missione virtuosa che, però, incontra degli ostacoli. Uno è il prezzo: la quotazione di accesso alla gamma di forni a vapore è mediamente doppia rispetto a quella di un buon forno statico o termoventilato, per modelli più performanti, il prezzo quadruplica e oltre. Ma l’ostacolo maggiore è l’ignoranza: non sapere le reali caratteristiche del forno che acquistiamo preclude lo sfruttamento delle capacità migliori dell’apparecchio, e i vantaggi che questo offre per noi e per l’ambiente. Manca un accenno alla connettività, ultima innovazione tecnologica presente in alcuni forni in particolare di gamma medio-alta. Ma abbiamo fatto la scelta di partire dalle informazioni fondamentali, crediamo ce ne sia bisogno, il resto seguirà. 


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