Plastiche e bioplastiche: che confusione!
La plastica inquina, è dannosa, insomma è cattiva. Al contrario, la bioplastica è amica dell’ambiente, è ‘bio’, pertanto è ‘buona’. È un pensiero comune, ma non corrisponde alla realtà di questi nuovi materiali, diversi per qualità e caratteristiche, né buoni né cattivi, e utili, nessuno dei quali è da abbandonare incautamente nell’ambiente. Ecco perché.
In generale per plastica intendiamo quel materiale derivato da fonte non rinnovabile, o fossile (il petrolio), che ha un alto impatto inquinante sull’ambiente e impiega centinaia d’anni a degradarsi. Diversamente, la bioplastica viene prodotta da fonti rinnovabili quali mais, canna da zucchero, sottoprodotti e scarti della filiera agroalimentare, in alcuni casi risorse fossili, e la sua caratteristica principale è di essere compostabile e/o biodegradabile. Il materiale biodegradabile ha la capacità di disgregarsi in modo naturale: grazie all’azione di microorganismi viene frammentato in elementi come anidride carbonica, acqua e metano, senza che durante il processo vengano rilasciate sostanze inquinanti. I tempi e le modalità di questo processo dipendono dalle caratteristiche stesse del materiale. La bioplastica compostabile è in grado di trasformarsi in compost, attraverso un processo di decomposizione biologica in condizioni controllate. Da qui si ottiene una sostanza organica biologicamente stabile, inerte, inodore costituita prevalentemente da humus, microorganismi attivi e microelementi, spesso utilizzata come fertilizzante. Tutto ciò non significa che queste bioplastiche possano essere abbandonate con leggerezza nell’ambiente.
Rifiuti da imballo: una montagna di plastica
La plastica in generale, e quella per l’imballaggio in particolare, è una sorvegliata speciale. I volumi di rifiuti derivati dal packaging infatti sono impressionanti. In Italia è stata calcolata una produzione pro-capite di circa 50 kg di scarti da imballi. Se ci pensiamo, con la spesa, oltre alle bottiglie d’acqua in PET, portiamo a casa pellicole e vassoi delle confezioni di frutta e verdura, di cibi pronti o freschi e quant’altro, e milioni di sacchetti della spesa che, per fortuna, da tempo sono in bioplastica compostabile, vanno cioè tranquillamente buttati nell’umido. Senza contare tutti gli imballi di casalinghi, di detersivi e detergenti, e dei mille prodotti confezionati d’uso domestico. Nel 2021 abbiamo consumato circa 2,3 milioni di tonnellate di plastica sotto forma di imballaggi, il 63% destinato al circuito domestico. Sono aumentati i volumi di immesso al consumo delle plastiche compostabili e biodegradabili, (74mila tonnellate), utilizzate prevalentemente per borse per trasporto merci (le shopper per la spesa), per alimenti sfusi e stoviglie monouso. Per governare questa montagna di materiali, nel nostro quotidiano possiamo fare almeno due cose: usare la plastica consapevolmente - cioè il meno possibile - e smaltirla in modo corretto. Ma come?
Qualche consiglio per non sbagliare la differenziata
I sistemi di raccolta differenziata, oltre a contrastare un inquinamento selvaggio dell’ambiente, offrono ai materiali una seconda possibilità di essere utili e riutilizzabili invece che sprecati per sempre. Il primo passo per far funzionare la filiera è smaltire correttamente i nostri rifiuti, attività meno facile di quel che sembra. Un aiuto ci viene dall’etichetta ambientale, che riporta su ogni confezione indicazioni sulla tipologia di materiali (codice alfanumerico), indicazione di conferimento (carta, plastica, etc.) salvo diverse disposizioni dei singoli Comuni, ed eventuali suggerimenti per una raccolta di qualità. Praticando la raccolta differenziata, cadiamo in errori ricorrenti: eccoli.
Le bottiglie di plastica, (da conferire appunto nella plastica), vanno schiacciate per il lato lungo e non in altezza, avvitando poi il tappo.
Oggetti di plastica come giocattoli, palloni, penne, etc. non vanno buttati nella plastica, bensì nell’indifferenziata. Se sono in buono stato si possono regalare o avviare al circuito del riuso.
Il sacchetto di bioplastica (quello della spesa) è biodegradabile e compostabile: non va nella plastica, ma nell’umido.
Il sacchetto di plastica - o di altri materiali non compostabili - non si deve usare per raccogliere i rifiuti organici (l’umido).
Gli imballaggi non devono essere lavati prima di essere differenziati, basta svuotarli. Evitiamo un inutile spreco di acqua.
La carta, se possibile, va ripulita da nastri adesivi e differenziata solo in contenitori di carta (borse o scatole).
Il cristallo e la ceramica vanno nella indifferenziata; causano danni al processo di riciclo del vetro poiché richiedono un trattamento diverso.
L’imballo compostabile non va disperso nell’ambiente ma smaltito con i rifiuti organici, che vengono avviati a processi di compostaggio industriale controllato.
L’imballo con la dicitura biodegradabile non va abbandonato nell’ambiente, e nemmeno smaltito con i rifiuti organici, ma deve essere conferito con la plastica o in alternativa nell’indifferenziata. La biodegradabilità è un processo molto complesso che dipende sia dal materiale che dalle condizioni - suolo, acqua, presenza di microorganismi e altro -, in cui viene smaltito. Secondo la normativa, infatti, un imballo può essere definito biodegradabile se si decompone al 90% entro sei mesi dal suo rilascio sul suolo o in acqua.
E adesso, buona e soprattutto corretta raccolta differenziata a tutti.
Fonte:
CNR - Tecnopolo di Bologna
Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) - rapporto rifiuti urbani ed. 2022
Conai - Consorzio Nazionale Imballaggi
https://www.polimerica.it/tag.asp?tag=bioPET
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