Bambini e web: una relazione che resta pericolosa

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[ 20/11/2023 ]  

In occasione della giornata mondiale dedicata ai bambini e agli adolescenti, che si celebra ogni anno il 20 novembre dal 1954, Save the Children - organizzazione no profit internazionale - presenta la quattordicesima edizione del suo “Atlante dell’infanzia a rischio in Italia” con il titolo “Tempi Digitali”, che affronta il tema della relazione di bambini e ragazzi con il mondo virtuale e le tecnologie digitali. Diminuisce l’età in cui si riceve il primo smartphone e si comincia a entrare in Internet, aumenta il tempo trascorso davanti ai display dei vari dispositivi, ma non cresce a sufficienza la competenza e la conoscenza necessarie da parte di giovani e giovanissimi (e non solo) per gestire questa nuova interazione: i ragazzi sono cioè a rischio di ‘povertà educativa digitale’. Ed è una indigenza subdola, perché può condizionare i ragazzi senza che se ne rendano conto, privandoli della libertà di sviluppare incondizionatamente le proprie abilità, mentre la nuova tecnologia dovrebbe essere un magnifico, innovativo strumento per coltivare le capacità di ognuno. Come ha dichiarato Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children: “La tecnologia può e deve essere una grande opportunità di sviluppo e di democrazia, ma va resa universale e utilizzata secondo regole condivise, altrimenti rischia di acuire le diseguaglianze e creare un esercito di esclusi”.

Cybernauti precoci e impreparati

I giovani si relazionano con Internet sempre più presto. In Italia il 78% di bambini tra gli 11 e i 13 anni entra in rete tutti i giorni attraverso il cellulare. Dopo la pandemia sono in aumento i piccoli utenti di smartphone: i bambini tra i 6 e i 10 anni erano il 18,4% nel biennio 2018-2019, sono il 30,2% negli anni 2021-2022. Mentre si abbassa l’età degli utenti, aumenta il rischio di povertà educativa digitale. In una mappa europea delle competenze digitali dei giovani fra i 16 e i 19 anni, l’Italia è quartultima, con una percentuale di giovanissimi scarsamente competenti del 42%, in Europa è il 31%. Fra i giovanissimi con elevate competenze digitali, gli italiani sono il 27%, i francesi  il 50%, gli spagnoli il 47%.

Tanto tempo online: per fare cosa?

A inizio 2023 quasi la metà dei giovani tra gli 11 e i 19 anni ( il 47%) ha dichiarato di passare oltre 5 ore al giorno online, nel 2020 era il 30%. Cosa fanno i ragazzi nel tempo connesso con il mondo virtuale? Nella fascia di età 14-17 anni maschi e femmine, senza differenze significative, si scambiano messaggi (93%), guardano un video (84%), usano i social (79%) e più le ragazze dei ragazzi (84% contro 74,2%), preferendo Instagram, TikTok, etc, a Facebook. Nonostante la normativa lo vieti, molti i preadolescenti (11-13 anni) che aprono un profilo social indicando un’età maggiore di quella che hanno o che usano quello di un adulto, spesso un genitore più o meno consapevole: sono il 40,7% con una prevalenza delle ragazzine (47,1%) rispetto ai ragazzini (34,5%). I maschi videogiocano più delle femmine: 81% contro 63,2%, mentre in egual misura guardano video a pagamento (68%). Si informano leggendo notizie e webzine per il 37%, svolgono corsi online (27%) e scaricano ebook (22%); in queste attività di informazione sono le ragazze a prevalere di qualche punto percentuale, con una differenza a due cifre sull’uso degli ebook: 27,6% femmine e 16,9% maschi. Si accede alle piattaforme digitali per acquistare, ma anche per vendere. Fra i 14 e i 17 anni comprano online per il 28%, con una leggera maggioranza femminile (30%), nella vendita di beni e servizi (8,5%) prevalgono leggermente i maschi (9,4%). Prima di comprare trascorrono molto tempo online per informarsi su prodotti e servizi da acquistare: abbigliamento, scarpe, accessori, articoli sportivi, libri (pochi) e cosmetici (quasi solo per le ragazze) sono gli articoli più venduti (fonte: ISTAT 2022).

Schermi e assistenti vocali potenzialmente dannosi

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la Società italiana di Pediatria (SIP) hanno ufficialmente raccomandato di non utilizzare dispositivi digitali con bambini di età inferiore ai 2 anni. Invece, secondo una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, il 22,1% dei bambini di 2-­5 mesi passa circa meno di un’ora al giorno davanti allo schermo di tv, computer, tablet o smartphone; oltre 1 bambino su 6 tra 11 e 15 mesi è esposto a schermi almeno un’ora al giorno, il 3% per tre ore e più. I genitori sottovalutano, e forse non conoscono, gli effetti negativi di questa pratica sullo sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale del bambino; un uso che, oltretutto, nel lungo periodo tende a favorire sedentarietà e obesità infantile. Agli schermi si aggiungono gli assistenti vocali: il 46% delle famiglie con almeno una figlia o un figlio entro gli 8 anni d’età ne possiede uno; di questi bambini, 1 su 3 interagisce con gli apparecchi in autonomia. Ma gli assistenti vocali non sono pensati per uso infantile, possono avere un effetto dannoso sullo sviluppo cognitivo e sociale dei piccoli, che rischiano di confondere le macchine con gli esseri umani, ‘attribuendo loro caratteristiche che evidentemente non hanno’. D’altra parte, se correttamente utilizzati, queste tecnologie potrebbero essere molto utili per migliorare le capacità comunicative, e per svariate attività didattiche.

Contraddizioni educative

Di fronte a quella che viene definita la Quarta rivoluzione industriale siamo tutti impreparati. Viviamo online: le connessioni attraverso il telefono cellulare sono il 132% della popolazione, indice che siamo in tanti a possedere più di uno smartphone connesso. Il mondo digitale è progettato per coinvolgere gli utenti in  una connessione continua, dobbiamo essere consapevoli di certi meccanismi e capaci di regolare di conseguenza i nostri comportamenti. Invece non sappiamo resistere: guardiamo continuamente il nostro cellulare, ma riprendiamo i nostri figli perché stanno sempre sui social; parcheggiamo i figli davanti al tablet per tenerli tranquilli e poi ci lamentiamo perché lo vogliono usare. E siamo orgogliosi di condividere sui social immagini e contenuti che riguardano i nostri figli: lo sharenting (to share + parenting ossia condivisione da parte dei genitori) coinvolge l’81% dei bambini nei Paesi occidentali, siamo ignari del rischio di sfruttamento pedopornografico che corrono le nostre amate fotografie. “Quello degli schermi - afferma Michele Marangi, membro del CREMIT, Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Innovazione e alla Tecnologia - è un problema educativo. Non dobbiamo considerare il digitale come qualcosa di strano o divertente bensì come qualcosa che afferisce all’area pedagogica. Con i bambini devo capire come comportarmi. In caso sia utile non userò davanti a lui o a lei lo smartphone, mi autoregolerò”. Dobbiamo rendercene conto: tutti abbiamo bisogno di una alfabetizzazione digitale; tutti, a qualsiasi età e in ogni contesto, dobbiamo acquisire le competenze per ‘prevenire i danni e cogliere le opportunità dei nuovi strumenti tecnologici’. Da genitori, occuparsi dell’educazione dei nostri figli oggi significa anche educarli ad affrontare il mondo digitale. Al netto del ruolo e delle responsabilità di scuola e istituzioni, forse  anche produttori di questi dispositivi, i distributori e tutti gli attori coinvolti nell'architettura digitale dovrebbero concretamente e responsabilmente contribuire a far crescere  l'educazione necessaria a un uso  corretto - e soprattutto sicuro - di prodotti, piattaforme e servizi. 

Sono molti gli argomenti trattati nel rapporto di Save the Children, ne raccomandiamo la lettura. Sarà illuminante per i genitori, ma aiuterà tutti nella costruzione di quella consapevolezza che rende la tecnologia  un meraviglioso strumento evolutivo piuttosto che un campo minato da oscuri pericoli. Qui potete scaricare l’intero documento. 


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