Il lungo requiem per CD e DVD
Tra i ricordi ingialliti delle estati passate non può non affiorare quello dell’audiocassetta acquistata all’Autogrill. Quasi sempre era “Mixage” o “Festivalbar” a comparire sullo scontrino in compagnia del panino e della bibita; una volta inserito il nastro nell’autoradio, si dava inizio ufficialmente alle vacanze.
La generazione di chi scrive non ha ancora messo da parte la nostalgia per quei momenti (e per le VHS noleggiate da Blockbuster!) che già si è dovuta arrendere a lasciare andare anche i CD e i DVD. Anche i negozi stanno per abbandonare questo mercato, non più florido ormai da più di una decina d’anni. Dal 2008, CD e DVD hanno subìto una perdita di oltre l’80 per cento. Persino i relativamente nuovi Blu-Ray non hanno mai aiutato il mercato a riprendersi: nel 2005 i DVD avevano raggiunto il loro apice di vendite negli Stati Uniti rappresentando il 64 per cento del mercato home entertainment, mentre i Blu-Ray, lanciati nel 2006, non hanno mai superato il 10 per cento.
Il mercato discografico e quello dell’home cinema sono sempre andati a braccetto, nella buona e nella cattiva sorte. Come per quanto era successo per i CD, quando hanno definitivamente rimpiazzato le vendite di vinile e musicassette, lo stesso è accaduto per i DVD: i clienti si sono dedicati dapprima all’acquisto delle nuove uscite per poi ricostruire la propria discoteca e filmoteca acquistando le copie rimasterizzate di edizioni passate, generando un interessante boom del mercato. Purtroppo, la campana a morto sta rintoccando nel medesimo momento per entrambi i supporti.
Ad aprile di quest’anno in Italia abbiamo visto il mercato del vinile riprendersi il primato che il CD gli aveva rubato 30 anni fa, ma è una magra consolazione, dato che più dell’80 per cento del fatturato musicale ormai arriva dallo streaming. Con l’11 per cento delle vendite in Italia, il vinile non rappresenta quel filone d’oro che potrebbe giustificare i rivenditori a dedicare nuovi spazi espositivi o rimpiazzare quelli abbandonati dai CD. Sembra ormai scelta comune quella di lasciare questo premio di consolazione ai negozi di dischi che tentano tra mille difficoltà di sopravvivere.
Sainsbury, la seconda catena di supermercati più grande della Gran Bretagna, ha annunciato quest’anno la scelta di rimuovere definitivamente CD e DVD dai propri scaffali. Best Buy, il più grande rivenditore al dettaglio di elettronica di consumo negli Stati Uniti, ha scelto di fare la stessa cosa già nel 2018. E anche se nessuno del nostro retail – per ora – ne ha dato l’annuncio ufficiale, assistiamo a lineari dedicati all’home entertainment sempre più corti e sguarniti (e sempre più pieni di polvere).
E se la EMI piange, la Nintendo non ride: la pandemia sembra aver dato il colpo di grazia anche all’industria dei videogames, che ha visto provenire la fonte di introiti nel 2020 dal digital download per più del 90 per cento. Tanto che Sony pensa ad un futuro totalmente digitale per il proprio mercato videoludico già a partire dal 2022, praticamente domani. D’altronde, con un vecchio modem 56k negli anni ’90 avremmo avuto bisogno di circa una settimana di connessione (a tempo) per scaricare un gioco da 4GB, mentre oggi per i 50GB di un videogame bastano 4 o 5 ore con una normale connessione ADSL. Lo streaming di un film o di una canzone è praticamente immediato, mentre se si acquista un film o un intero album musicale lo si troverà nella propria libreria dopo pochi minuti.
Nell’attesa di vedere cestoni promozionali dai quali sbucheranno il CD di “Innuendo” e il DVD di “Titanic” come antichi reperti post-bellici, ci spiace constatare che viene già facile immaginare un mondo senza supporti fisici perché – in effetti – non ne sentiamo più il bisogno.
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